Accesso al credito e finanza per lo sviluppo dell’impresa sociale: le prospetive di un comparto in espansione
0 commenti 19 Settembre 2007

Leonardo Becchetti – Università Tor Vergata di Roma

Il problema dell’eterogeneità e della classificazione

Il tema del finanziamento dell’impresa sociale è molto ampio e complesso. La complessità deriva innanzitutto dal fatto che, come ben sappiamo, non esiste un’unica tipologia di impresa sociale ma questo termine è piuttosto un cappello sotto il quale si raccolgono realtà assolutamente eterogenee tra di loro. Se pensiamo a chi lavora, con diverse strutture organizzative che vanno dalla cooperativa alle organizzazioni non riconosciute, nei settori socio-sanitario, assistenziale, della cultura, biologico, ambientale, della cooperazione internazionale e della “promozione umana” sappiamo benissimo che le esigenze di finanziamento sono le più disparate e dipendono molto dall’oggetto specifico di attività.
Oggi è anche sempre più difficile identificare l’impresa sociale in una forma giuridica specifica e si fa sempre più strada l’idea che debba essere la scala di priorità nelle finalità di azione e l’oggetto di attività a determinare l’appartenenza o no di un’impresa a questo aggregato. Molto difficile appare oggi identificare l’impresa sociale con la no profit. In realtà ciò che sembra qualificante da questo punto di vista è la gerarchia tra gli obiettivi. Con il termine not for profit si sottolinea a mio avviso una caratteristica fondamentale dell’impresa sociale per la quale la finalità principale è quella di creare valore sociale, pur riconoscendo che non esiste una dicotomia tra creazione di valore sociale e creazione di valore economico. La sottolineatura del termine not for profit và però intesa come utile nel distinguere l’impresa sociale dall’impresa tradizionalmente insegnata nei manuali di economia (anzi concepita come l’unico tipo possibile d’impresa!) che è quella che massimizza il profitto.
Il fatto importante è che le imprese sociali si stanno sempre più specializzando come imprese in grado di creare valore sociale ed economico allo stesso tempo superando dunque la dicotomia tra questi due momenti. Si pensi ad esempio al mondo del commercio equo e solidale, al microcredito alle energy saving companies si tratta in tutti e tre i casi di imprese che si pongono come obiettivo fondamentale quello della sostenibilità sociale ed ambientale dello sviluppo ma che perseguono il loro obiettivo sociale creando valore economico. Nel caso del commercio equo e solidale ciò avviene con un’innovazione di sistema che inventa una nuova forma di differenziazione di prodotto basata sui suoi contenuti di valore sociale, nel caso del microcredito attraverso il finanziamento dei non bancabili e nel caso delle energy saving companies nel creare valore economico migliorando l’efficienza energetica di edifici già esistenti.

La questione della capitalizzazione

E’ possibile, nonostante gli elementi di eterogeneità sottolineati, individuare alcuni problemi comuni relativi al finanziamento delle imprese sociali.
Possiamo senz’altro partire dalla questione della capitalizzazione. L’impresa sociale rappresenta per certi versi un “mondo capovolto” nel quale il conflitto tra possessori di capitale sociale e managers è completamente diverso da quello che si sviluppa nelle imprese tradizionali. In quest’ultimo caso gli azionisti chiedono fondamentalmente all’impresa maggiori dividendi e dunque possono entrare in conflitto con il manager in caso di perseguimento di politiche non orientate in tal senso o qualora i guadagni generati dall’impresa siano riversati in altre direzioni.
Nel caso dell’impresa sociale l’azionista acquista quote di capitale sociale fondamentalmente per motivi ideali e non per effettuare un investimento di carattere speculativo. Tra l’altro la scarsa o assente liquidità del mercato secondario di tali quote elimina probabilmente ogni tentazione in tal senso. Le conseguenze sono a questo punto due. Da una parte si può creare un conflitto di natura completamente diversa per il quale i soci rimproverano ai manager di non soddisfare abbastanza quei moventi ideali per i quali gli stessi hanno deciso di acquistare capitale sociale dell’impresa. Dall’altra vi può essere scarsità di potenziali soci ideali e dunque un problema di sottocapitalizzazione dell’impresa sociale. Il problema è più urgente soprattutto nel caso di imprese che non sono in grado di accumulare nel tempo una quota significativa di profitti non distribuiti in riserve.
In alcuni casi dunque la domanda che l’impresa sociale rivolge ai suoi potenziali finanziatori non è di debito ma di equity. E’ evidente però che un istituto finanziario deciderà di soddisfare tale domanda solo nel caso ritenga la partecipazione in una determinata attività sociale strategica per qualche motivo (magari anche ai fini di aumentare la percezione da parte del pubblico del proprio livello di responsabilità sociale).
Quanto alle richieste di prestiti il problema della sottocapitalizzazione può tradursi in difficoltà di fornire garanzie a fronte del prestito richiesto. Come ci insegna la dottrina bancaria tradizionale il collaterale è strumento fondamentale per il merito di credito in quanto, almeno apparentemente, riduce il rischio della banca in caso di insolvenza del debitore.
Nei modelli che sottolineano il problema delle asimmetrie informative tra banca e impresa la dimensione del collaterale diventa anche segnale importante della fiducia che l’impresa ha nel proprio progetto e dunque della percezione della sua qualità come debitore da parte della banca.
Nel settore delle imprese sociali molto spesso il collaterale può essere sostituito da altre forme di garanzia indiretta. Lettere di patronage non impegnative possono rappresentare una garanzia informale di un organizzazione di secondo livello nei confronti di una realtà di primo livello che chiede il prestito alla banca. In generale la capacità di creare reti sul territorio che riducano i problemi informativi riduce la necessità di garanzie collaterali e può aiutare ad aumentare il merito di credito delle imprese sociali presso la banca.

Il finanziamento bancario e del pubblico come strumento d’indipendenza

La possibilità di ottenere un credito da parte di una banca può rappresentare per un’impresa sociale un importante fattore d’indipendenza. In realtà molto spesso accade che la sua attività, se non genera utili, venga finanziata da sussidi pubblici o di grandi imprese. Il rischio è nel primo caso quello del collateralismo o della distorsione dell’azione e delle energie dell’impresa sociale verso il proprio scopo statutario dovuta all’esigenza primaria di massimizzare il favore dei propri referenti politici. Nel secondo caso il rischio è la subordinazione della propria volontà ed autonomia agli obiettivi dell’impresa finanziatrice di riferimento da cui l’impresa sociale finisce per dipendere.
Proprio per evitare questi due problemi un altro campo molto interessante su cui la riflessione va ulteriormente sviluppata è quello dell’esplorazione di forme sempre più efficaci attraverso le quali i cittadini possano votare direttamente per la qualità dei servizi erogati dall’impresa sociale ad esempio finanziandola con una parte del proprio prelievo fiscale (l’8 per mille) oppure con un sistema di vouchers acquistabili presso istituti di credito tradizionali e spendibili nei confronti dell’impresa sociale prescelta.
Si tratta di un modello interessante del quale vanno però studiati e ridotti i due possibili limiti potenziali. Da una parte quando si vota con il portafoglio siamo sempre di fronte ad un voto basato sul censo, ovvero ad una democrazia nella quale chi ha il favore di coloro con maggiore potere d’acquisto avrà maggiore consenso (e dunque la ricerca per la lotta contro il cancro probabilmente rispetto a quella per il vaccino contro la malaria a meno di preferenze fortemente altruistiche dei cittadini del Nord nei confronti di quelli del Sud del mondo).
Inoltre, c’è il rischio che le organizzazioni più grandi e maggiormente in grado di investire o di assumere testimonial per pubblicizzare le proprie iniziative raccolgano la gran parte dei contributi a scapito di piccole seppur valide organizzazioni.

Accesso al credito e impresa sociale: il settore del microcredito

Uno dei settori più interessanti e nuovi di sviluppo anche in Italia, sulla spinta del grande successo internazionale della Grameen bank, è quello del microcredito. Esistono oggi più di 3000 istituzioni di microfinanza operanti nel mondo che raggiungono più di 100 milioni di clienti, parte dei quali “non bancabili” e sulla soglia di povertà.
Il microcredito rappresenta una nuova frontiera per le banche in quanto sviluppa approcci e metodi che consentono di effettuare prestiti a individui spesso privi di garanzie e realizza dunque uno degli obiettivi “sociali” più importanti delle istituzioni bancarie, quello di far incontrare chi ha idee con chi ha i soldi per finanziarle.
Il microcredito ha anche una funzione fondamentale nell’attuale fase dello sviluppo economico nella quale il ruolo del capitale umano e sociale appare fondamentale e forse più importante di quello dell’accumulazione di capitale fisico. La capacità di un paese di arrivare al suo livello di sviluppo potenziale dipende dalla possibilità di tutti cittadini di sviluppare le proprie potenzialità. Per far ciò bisogna superare due barriere fondamentali costituite dall’accesso al credito e all’istruzione. Il microcredito dunque rappresenta uno strumento fondamentale in questo contesto in grado di contribuire allo sviluppo economico e alla realizzazione delle pari opportunità.
E’ altrettanto evidente che il “bacino potenziale” di clienti del microcredito in Italia è del tutto diverso rispetto a quello di paesi poveri o emergenti.
Se Yunus trovava fuori del suo campus universitario masse di indigenti riscattabili anche con prestiti di piccola entità dalla povertà e dall’usura i clienti potenziali del microcredito nel nostro paese fanno parte di target di popolazione molto diversa e sicuramente nel complesso rappresentano una componente più piccola della popolazione.
La sfida per chi si occupa di microcredito appare duplice. Da una parte raccogliere risparmi per capitalizzare e favorire l’avviamento di realtà di microfinanza in giro per il mondo, facendo anche leva sulla responsabilità sociale dei risparmiatori disposti a rinunciare ad una parte del proprio rendimento in cambio della gratificazione ricevuta dal fatto di poter contribuire all’inclusione di soggetti poveri o marginalizzati. Dall’altra l’individuazione all’interno del nostro paese di aree di bisogno nel quale la microfinanza può concretamente contribuire ad allargare la platea di coloro che hanno accesso al credito. Da questo punto di vista l’esperienza degli ultimi anni sembra indicare che esistono opportunità di intervento nel settore del microcredito al consumo e in quello all’investimento sia verso connazionali che immigrati. La scommessa in questo campo sembra quella di individuare tempestivamente nuove aree di marginalità e di fragilità e di costruire strumenti finanziari ad hoc per questi contesti (ad esempio mutui per debitori con posti di lavoro precari, interventi per favorire l’emersione di piccolissime imprese in zone del paese meno sviluppate). E’ possibile ricomprendere nelle possibili finalità del microcredito anche settori come quello dei prestiti agli studenti che desiderano iscriversi a master all’estero in modo tale da finanziare l’eccellenza e lo sviluppo del capitale umano?
E quali sono le modalità più indicate per operare nel settore del microcredito per un istituto bancario tenendo conto che la piccola dimensione dei prestiti e la rischiosità degli stessi rende quest’attività non certamente particolarmente redditizia?
La mia proposta ai relatori della tavola rotonda è di partire da queste domande e da quelle implicate dai temi precedentemente accennati per una riflessione sul problema del finanziamento dell’impresa sociale.

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