Cinque per mille:cui prodest?
0 commenti 5 Dicembre 2007

Carlo Borzaga, Felice Scalvini

Nelle ultime settimane il dialogo tra governo e terzo settore si è concentrato sul cinque per mille, ovvero lo strumento che consente ai cittadini di versare una percentuale delle loro tasse a favore anche di organismi non lucrativi come associazioni, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, ecc. Gli spunti polemici sollevati hanno riguardato soprattutto aspetti di carattere strutturale; ad esempio, il fatto che tale misura possa essere proposto in via definitiva, oppure l’introduzione o meno di un “tetto” massimo delle risorse raccolte da distribuire ai soggetti beneficiari.
In realtà i dati sull’assegnazione del cinque per mille pubblicati dall’Agenzia per le entrate consentono di proporre anche alcune riflessioni rispetto alla visibilità e all’articolazione interna del terzo settore. Inoltre si possono sottolineare aspetti di ordine procedurale, ovvero come questa misura è stata gestita da soggetti che ne hanno usufruito. Sul primo aspetto i dati disponibili contribuiscono ad aumentare la confusione tra le diverse componenti del terzo settore, perché definiscono in modo generico come “volontariato” soggetti che tali non sono, neppure per legge, come le associazioni di promozione sociale, il comitato italiano dell’Unicef, e altre istituzioni come il Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura (link). Sono peraltro questi soggetti e non le organizzazioni di volontariato a fare la parte del leone nelle preferenze e quindi nei fondi attribuiti. E’ inutile nascondere che in molti casi hanno svolto un ruolo molto più rilevante i centri di assistenza fiscale piuttosto che la consapevolezza del singolo contribuente rispetto all’utilizzo dello strumento e quindi la sua volontà di privilegiare l’una piuttosto che l’altra organizzazione.
Si conferma così una distorsione già emersa lo scorso anno e che dipende dall’orientamento, tipico anche del nostro sistema fiscale e non modificato dalla legge sulle Onlus, a definire i beneficiari della misura agevolativa in base al possesso di alcune caratteristiche organizzative di tipo formale invece che in base ad attributi di meritorietà o alla rilevanza sociale delle attività svolte. Queste semplici considerazioni consigliano di indirizzare meglio la polemica con il Governo ponendo al centro del dibattito, accanto alle già citate questioni della “messa a regime” della misura e dell’eliminazione del “tetto” massimo di risorse da ridistribuire, anche le modalità di scelta delle organizzazioni, cercando ad esempio di tutelare degli interessi di coloro che non dispongono di strutture di consulenza per la redazione della dichiarazione dei redditi. Non sarebbe meglio che le stesse risorse oggi impiegate per il cinque per mille fossero assegnate, ad esempio, per raddoppiare le donazioni, anche di piccolo importo, effettuate volontariamente dai cittadini e opportunamente registrate? Peraltro in questo caso si potrebbe parlare davvero di propensione alla solidarietà. Oggi invece la firma sul modulo del cinque per mille non è da considerare una scelta solidale perché non comporta nessun sacrificio volontario da parte di chi sottoscrive, in quanto quelle risorse sarebbero comunque destinate alla tassazione, così come sostiene giustamente un recente contributo de lavoce.info. Meglio quindi prevedere strumenti dove le scelte dei cittadini siano il frutto di precise indicazioni su quali sono le loro reali preferenze rispetto ai servizi e alle organizzazioni da sostenere.

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