I beni giuridici dell’impresa sociale. Una normazione di basso profilo
0 commenti 5 Febbraio 2008

Giacomo Libardi (Cgm – Welfare Italia)

Dunque il percorso di legificazione dell’impresa sociale si è concluso, dopo oltre tre anni di iter legislativo, un numero ragguardevole di convegni, di seminari, decine di incontri formali, altrettanti informali, innumerevoli pubblicazioni, un numero elevatissimo di dichiarazioni, comprese le mie abbiamo il nuovo strumento.
Ma è proprio così nuovo? e visti gli esiti sarà in grado di generare una nuova spinta alla crescita dell’economia civile in Italia, aggregando attorno ad un progetto di imprese energie non solo umane ma anche finanziarie? declinando un nuovo modo di gestire i beni comuni, proseguendo quella tradizione di innovazione delle forme di impresa e di gestione dei servizi sociali che trova nella 381 il suo punto più alto?
Il modo più semplice per capire se un istituto è praticabile è provare ad individuare i beni giuridici che legislatore ha valuto. La mia lettura dei decreti attuativi parte da qua, sapendo che questa norma è stata varata da un governo di centro destra ed attuata da un governo di centro sinistra e sapendo che il ministro responsabile della attuazione appartiene ad una forza politica contraria alla legge istitutiva della impresa sociale.
I decreti attuativi ad un sommaria lettura contengono tre elementi che permettono di capire i beni giuridici che il governo ha voluto tutelare.
Il primo inerente la definizione di attività principale. Il decreto legislativo 155/06 stabilisce che vanno definiti i criteri per il computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi derivanti dalla produzione di beni o servizi di utilità sociale. I ministri Bersani e Ferrero, utilizzano questa prescrizione per introdurre una serie di limitazioni all’origine dei ricavi. Vengono esclusi dal computo del 70% i mezzi finanziari propri derivanti dal patrimonio dell’impresa sociale, non sia mai che qualcuno doni risorse ad una impresa sociale e questa le usi per produrre servizi di utilità sociale, al di fuori del ciclo della finanza pubblica. Non solo non vengono computati i mezzi propri, ma sono esclusi dal computo anche tutti i ricavi prodotti da contratti o convenzioni con società ed enti controllanti l’impresa sociale, non sia mai che una cooperativa sociale od una fondazione controlli un’impresa sociale, nei limiti delle norme del dlgs ed affidi a questa produzione di quote rilevanti di servizi. Gli esempi qui si sprecano: fondazioni che creano imprese sociali per attuare i propri fini statutari e finanziano le attività, gestione di beni di proprietà di associazioni, ecc. Dunque si ipotizza la dipendenza, sia pure parziale dalla finanza pubblica.
Il secondo elemento riguarda il bilancio sociale. L’art. 12 del dlgs prevede l’obbligo di forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti nei regolamenti aziendali e negli statuti e uno pensa che dell’attività di partecipazione ed informazione degli stakeholder si debba dare conto, trattandosi di obbligo di legge. Errore, nelle linee guida sul bilancio sociale si parla solo di mappa dei diversi portatori di interesse e per quanto riguarda i dipendenti il valore massimo e minimo delle retribuzioni, il numero totale delle donne con le tipologie di contratto. Dunque la dimensione multi stakeholder non è considerata un bene giuridico da tutelare.
Il terzo elemento è inerente le norme per le procedure straordinarie, fusioni, trasformazioni,cessioni. Non mi addentro nei particolari. Rilevo solo che tutte le innovazioni in materia di controlli sugli atti societari previste dalla riforma del codice civile non sono state nemmeno lette. Si è tornati ad un mero autorizzatorio di stile burocratico, non valorizzando le responsabilità dell’impresa e dei professionisti della stessa. Dunque si ipotizza la dipendenza dal ministero non solo nella vigilanza ex post ma anche un regime di controlli ex ante.
Arrivati in fondo la domanda è la seguente. Ma a chi pensavano mentre scrivevano i decreti attuativi? La mia risposta è ad una organizzazione di volontariato, che gestisce servizi in convenzione con l’Ente Pubblico. Questa è l’unica tipologia a cui i decreti attuativi determinano degli eventuali vantaggi gestionali nel caso di trasformazione in impresa sociale.
L’unica innovazione reale rimane l’apertura di nuovi ambiti di attività alle cooperative sociali, superando i limiti previsti dalla 381 ma questa è un’altra storia.

L’articolo verrà pubblicato sul prossimo numero di Vita Magasine.

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