Camus e l’impresa sociale
0 commenti 9 Marzo 2012

“Nel momento stesso in cui ognuno di noi cerca di far prevalere i doveri della libertà sui privilegi, in quel momento la libertà ricongiunge il lavoro e la cultura e mette in modo una forza che è l’unica in grado di servire efficacemente la giustizia”. Questa frase di Albert Camus fa parte dello statuto del Teatro dell’Elfo, un’importante istituzione culturale milanese che di recente ha assunto, anche in termini giuridici, la forma dell’impresa sociale. Una frase che sia per i contenuti che per il contesto in cui è inserita esprime quello che si potrebbe definire l’ethos dell’impresa sociale, il suo carattere distintivo che si forma nella pratica quotidiana. Secondo Camus, per perseguire obiettivi di giustizia – rispetto ai quali non è difficile ricondurre finalità tipiche dell’impresa sociale come l’integrazione sociale, la coesione, la cura – è necessario dotarsi di un’organizzazione capace generare senso attraverso il lavoro e, più in generale, attraverso modalità di gestione e di governo adeguate a queste finalità. C’è quindi una dimensione normativa che accompagna lo sviluppo dell’impresa sociale, ma che non va misurata esclusivamente sulla base dei contenuti di leggi e regolamenti, ma piuttosto guardando a un più ampio spettro di sistemi regolativi – statuti, marchi, codici – adottatati dalle diverse espressioni di questa forma imprenditoriale. Altrimenti non si capirebbe perché nonostante l’assenza di leggi, o la presenza di schemi normativi insufficienti – come nel caso italiano – l’impresa sociale si vada comunque diffondendo in senso quantitativo e per differenziazione dei modelli. Gli interessanti commenti al nostro post dedicato al fallimento della legge sull’impresa sociale denotano che il vero problema di quella norma non riguarda l’assenza di incentivi, ma la ancora scarsa definizione di una cultura dell’impresa sociale realmente aperta e condivisa.

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