OECD policy brief
0 commenti 5 Giugno 2013

E’ stato da poco pubblicato un documento Oecd sull’imprenditoria sociale. Alcuni aspetti di interesse:

– un’evidente apertura dell’approccio al tema, considerando anche modelli e studi ormai affermati che si collocano al di fuori dell’alveo dell’economia sociale;

– dal punto di vista metodologico, sono da rilevare i riferimenti al Global Entreprenership Monitor all’interno del quale sono stati ricavati dati (diretti e indiretti) sulle attività d’impresa che, a vario titolo, perseguono finalità sociali;

– un interessante approfondimento sulle modalità di nascita delle imprese sociali, enfatizzando i processi trasformativi (da enti pubblici, imprese for profit, organismi non profit) e i processi di scalabilità (social franchising);

– a questi si contrappone una parte – più standard – dedicata alle barriere alla crescita: regolazione normativa e incentivi fiscali, strutture di supporto, accesso ai mercati (forse la parte più debole del documento) e naturalmente strumenti finanziari dedicati (proponendo una gamma che va dalla finanza solidale fino al crowdfunding passando per il venture philanthropy, investimenti istituzionali, ecc.);

– le indicazioni di policy riprendono e sviluppano gli elementi di debolezza appena citati proponendo soluzioni che fanno riferimento ad alcune buone pratiche: per l’accesso ai mercati la campagna “Buy social” promossa da Social Enterprise UK; per i servizi a supporto incubatori e distretti dell’innovazione sociale; per la finanza il Big Society Capital e così via.

Il documento si chiude con alcune indicazioni rispetto a futuri percorsi di ricerca. Anche in questo caso i riferimenti vanno a esperienze come quella del Third Sector Research Centre. Al di là dei riferimenti a determinate strutture si possono comunque richiedere proprio all’estensore del documento due approfondimenti. Il primo riguarda le misure di impatto in termini economici delle imprese sociali, guardando sia ai risparmi di spesa pubblica che alla generazione di “valore aggiunto” (ad esempio in termini occupazionali). Il documento ne fa breve cenno, ma certo esistono riscontri consistenti e che si potrebbero portare a regime nell’intera area Ocse (si pensi al calcolo dei costi / benefici delle attività di inclusione sociale attraverso il lavoro). Il secondo approfondimento, strettamente legato al precedente, riguarda il contributo delle imprese sociali alla qualità della vita e al benessere delle persone e delle comunità locali. Anche su questo fronte l’Ocse si è fatto promotore di importanti iniziative che hanno ispirato, ad esempio, il recente indice Bes dell’Istat. Era possibile quindi, già in questa stesura, inserire qualche riferimento a riguardo, evidenziando meglio la rilevanza di questo modello d’impresa nelle economie più “sviluppate” del mondo.

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