I luoghi dell’innovazione aperta
0 commenti 18 Dicembre 2016

E’ stato presentato martedì 13 dicembre presso FabriQ – l’incubatore di innovazione sociale del Comune di Milano – il nuovo quaderno edito da Fondazione Brodolini dal titolo “I luoghi dell’innovazione aperta. Modelli di sviluppo territoriale e inclusione sociale”.

I luoghi dell’innovazione aperta sono, nel testo curato da Fabrizio Montanari e Lorenzo Mizzau, quell’insieme molto variegato di spazi (fisici e non) dedicati a nuovi modelli di incontro, di contaminazione e di co-progettazione tra i diversi attori di un ecosistema di innovazione (aziende, organizzazioni non profit, enti pubblici, privati cittadini, ecc.). L’obiettivo del volume è indagare gli antecedenti organizzativi dei luoghi dell’innovazione cercando di capire le leve a disposizione sia dei policy maker che dei soggetti gestori al fine di aumentarne efficacia, impatto e sostenibilità.

In particolare, nel volume si riflette su come questi luoghi possano supportare lo sviluppo e il rafforzamento degli ecosistemi di innovazione, cioè di quelle forme inter-organizzative di collaborazione attraverso le quali i diversi attori interagiscono tra loro, ad esempio, scambiando conoscenze e informazioni oppure co-progettando beni e servizi destinati non solo al mercato (e dunque alla soddisfazione dei bisogni dei potenziali acquirenti/consumatori), ma anche alla creazione di valore per la comunità attraverso la soddisfazione delle istanze sociali di un particolare territorio.

Dopo una prima parte dedicata a temi fondanti dei luoghi dell’innovazione (innovazione sociale, open innovation, incubatori a supporto dell’innovazione, reti, governance), il volume prende in esame cinque casi specifici:

  • l’esperienza pugliese del programma di politiche giovanili Bollenti Spiriti e il caso dell’ExFadda di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, coralmente riconosciuto come ottimo esempio di rigenerazione dal basso e di laboratorio urbano;
  • il caso mare culturale urbano a Milano, centro di produzione artistica che sperimenta un modello di sviluppo territoriale delle periferie: partendo da un forte legame con la dimensione locale, sviluppa scambi a livello internazionale e attiva processi di inclusione sociale, rigenerazione urbana e innovazione culturale;
  • Open Incet, l’hub per l’innovazione aperta della città di Torino: è concepito come un luogo fisico e uno spazio virtuale dove favorire la connessione tra ecosistemi per l’innovazione a livello locale e internazionale;
  • l’esperienza delle Serre dei Giardini, a Bologna, e di Kilowatt, l’organizzazione che ne gestisce le attività: un community hub metropolitano per l’innovazione e la sensibilizzazione alla cultura imprenditoriale, costituito da incubatore per start up, coworking, spazi per esposizioni, formazione, eventi e aggregazione, uffici e servizi condivisi.
  • il caso del Laboratorio Urbano Aperto (LUA) dei Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia, la cui progettazione è ancora in corso e che dovrebbe vedere la luce nel 2017 e sarà focalizzato sull’innovazione sociale nell’ambito dei servizi alla persona.

Per concludere con alcuni casi internazionali di living lab  come strumento partecipativo di innovazione sociale, tecnologica ed economica – e una proposta per un modello organizzativo dei luoghi di innovazione aperta.

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