Impresa sociale e ambiente
0 commenti 14 Novembre 2007

Gian-Luigi Bulsei

La consolidata presenza di organismi nonprofit nel campo delle politiche sociali e del welfare locale induce a riflettere, sia pure a grandi linee, sulle possibili analogie/differenze tra le dinamiche che caratterizzano tale ambito e le tendenze riscontrabili nel policy network ambientale (Bulsei 2006 e 2007; Ranci 2001).
La normativa nazionale di riforma dei servizi sociali (Legge 328/2000) riconosce alle organizzazioni del terzo settore il ruolo di “soggetti attivi della rete integrata di interventi e servizi sociali” (art. 11, comma 1). Il modello di programmazione partecipata introdotto dalla legge (si pensi allo strumento del Piano di zona) considera tali soggetti titolati a concorrere alle scelte pubbliche oltre che alla produzione dei servizi alla persona e alla collettività. Inoltre, nel definire le possibili forme di relazione contrattuale tra enti pubblici ed imprese sociali, la normativa tende ad incentivare “una concorrenza basata sulla qualità sociale delle prestazioni erogate promuovendo il dinamismo imprenditoriale delle organizzazioni del terzo settore”; l’intento è quello di creare un settore di fornitori nonprofit “omogeneo e qualificato sotto il profilo dei requisiti organizzativi e strutturali”, attraverso il ricorso a strumenti quali l’autorizzazione e l’accreditamento (Borzaga e Fazzi 2004a, pp. 129 e ss).
Emergono, in tale modello settoriale di regolazione, due linee di tendenza (Bulsei 2006, cap. 1):
1) l’introduzione di condizioni di mercato (marketization) nella produzione di beni sociali, di norma associata ad una riduzione delle funzioni pubbliche di gestione diretta;
2) l’apertura del policy making ad una pluralità di attori, con la diffusione di strutture e processi partecipativi: si tratta di nuovi modelli di interazione basati sull’inclusione degli attori sociali nella definizione degli obiettivi di policy, che puntano alla creazione di “reti governate” nelle quali partners privati condividono con le istituzioni la responsabilità per la produzione di beni pubblici (Bobbio 2004; Donolo 2005).
E’ bene chiarire immediatamente che, sotto entrambi profili, non esiste in campo ambientale il “corrispettivo funzionale” della Legge 328. Sopratutto, accanto ad un pur significativo ricorso all’esternalizzazione di servizi pubblici ambientali ad organizzazioni del terzo settore, non vi è traccia nelle politiche di settore di alcun disegno consapevole di promozione dell’imprenditorialità sociale né di pluralizzazione dei processi di policy.
Limitandosi a ribadire alcuni requisiti formali di identificazione dell’impresa sociale (impegno in settori “di utilità sociale”, divieto alla distribuzione degli utili, obbligo di redazione del bilancio sociale), la normativa vigente (Dlgs. 24 marzo 2006, n. 155 – attuativo legge delega 118/2005) non sembra infatti poter funzionare come “selettore di organizzazioni con motivazioni necessarie all’efficienza” (Sacconi in AAVV 2006). Inoltre, il peso relativo del terzo settore nel policy network ambientale appare frenato da un complicato puzzle normativo e da legami per lo più indiretti con i centri di imputazione delle politiche pubbliche. Quando le imprese sociali giocano un ruolo di qualche rilievo (non meramente gestionale) “entrano dalla finestra” di programmi UE (Fse, Equal, Life, ecc.) ovvero di politiche regionali (parchi, turismo) e locali di welfare allargato (Agenda 21, patti territoriali, recupero urbano) (AA.VV. 2007).
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, molte imprese sociali sono nate “in modo autonomo dalla pubblica amministrazione, per affrontare problemi di cui questa non voleva o non poteva farsi carico. La funzione distributiva di queste imprese era supportata soprattutto dalle risorse di volontariato che esse riuscivano ad attrarre” (Borzaga 2005, p. 38). Nel corso degli anni ’90 le amministrazioni locali hanno iniziato a finanziare in modo sistematico l’attività delle imprese sociali esistenti e hanno realizzato nuovi servizi esternalizzandone da subito la gestione a organizzazioni del terzo settore. Inizialmente, dunque, erano le cooperative “a creare e quindi proporre all’ente pubblico l’avvio di un nuovo servizio” (Andreaus 2005, p. 254); in seguito la relazione tra amministrazioni pubbliche ed imprese sociali consisterà sempre più nella “delega” tramite convenzione, tendendo di fatto a trasformare la cooperazione da movimento di interpretazione della domanda a strumento di gestione dell’offerta di servizi.
Se tuttavia tra imprese sociali ed amministrazioni si instaurano rapporti di elevata dipendenza finanziaria, la cooperazione tenderà a ridimensionare la propria funzione distributiva, oppure sceglierà di “riposizionarsi” su nuovi bisogni sociali, investendo in tale direzione le risorse “liberate” dal finanziamento pubblico (Borzaga 2005).
Può essere questo il caso dell’ambiente? Per le imprese sociali “verdi” la sfida è duplice: deriva infatti dalla necessità di confrontarsi sia con il mercato dei servizi ambientali sia con la comunità di riferimento, senza rischiare, ai due estremi, l’appiattimento su logiche economiciste o la colonizzazione burocratica (Bulsei 2007).
L’effettiva possibilità per le imprese sociali di proporsi in campo ambientale come credibile alternativa al binomio stato-mercato dipende dalla loro capacità di legittimarsi come attori economici e sociali in grado di presidiare uno spazio pubblico nel quale si combinano dialetticamente produzione “mercantile” di esternalità positive e regolazione istituzionale, pratiche sociali ed amministrazione di beni collettivi (Bulsei 2006, capp. 1 e 5; Donolo 2005).

Quale contributo possono fornire le imprese sociali alla tutela e valorizzazione dell’ambiente, nella prospettiva di uno sviluppo endogeno, concertato, integrato, sostenibile del territorio? Tali organizzazioni presentano caratteristiche che le rendono potenzialmente idonee a contribuire alla realizzazione di una vasta gamma di politiche territoriali integrate: dalla riqualificazione urbana all’educazione ambientale; dai servizi ecologici all’inclusione sociale (tramite inserimento lavorativo); dalla produzione sostenibile (agricola, energetica, ecc.) al consumo consapevole; dalla gestione di aree protette ai processi partecipativi.
E’ la peculiare combinazione di imprenditorialità e responsabilità, efficienza organizzativa e dimensione etica ad avvicinare “costitutivamente” l’impresa sociale ai beni ambientali. Valgono tuttavia per le imprese non profit che si occupano di ambiente le stesse considerazioni avanzate nel Quarto rapporto sulla cooperazione sociale in Italia (Centro Studi CGM 2005) a proposito dei tre “futuri possibili” per l’ impresa sociale nel suo complesso:
1) la transitorietà, caratterizzata da anomalia e provvisorietà del non profit, semplice supplente di strutture pubbliche o di mercato (destinate prima o poi a recuperare ruolo e funzioni);
2) il consolidamento nella nicchia, che vedrebbe la sopravvivenza di tali realtà in un’ottica conservativa (ambiti sociali marginali);
3) una nuova forma di impresa comunitaria, grazie all’adozione di politiche trasversali per connettere “questa nuova modalità di gestire attività di impresa per il perseguimento di finalità di interesse generale con le altre componenti economiche e sociali” (Centro studi Cgm 2005, p. 20).
Non si tratta di percorsi alternativi generalizzabili, ma di linee di tendenza che possono coesistere ed essere variamente declinate a seconda dei contesti territoriali, dei campi di attività e delle scelte manageriali delle imprese sociali, oltre che delle politiche di regolazione e promozione. Al riguardo, è possibile scorgere due distinti ma complementari fenomeni, che rappresentano altrettanti rischi per le imprese sociali alle prese con il settore ambientale (Bulsei 2007):
? una certa qual tendenza alla collusione distributiva, con il prevalere all’interno del campo politico-organizzativo delle ISV di logiche centrate sull’allocazione di risorse più che sull’efficacia sociale degli interventi;
? forme di integrazione subalterna, le quali implicano l’adattamento di tali imprese ad un sistema che ne postula il radicamento sociale e territoriale ma non ne valorizza appieno il ruolo nei processi di policy.
La “sottile linea verde” che lega non profit e ambiente va pertanto irrobustita su entrambi i versanti:
a) l’adeguatezza organizzativa e culturale delle imprese sociali;
b) il loro coinvolgimento strategico nelle politiche di settore.
Queste le condizioni affinchè, accanto alla produzione di beni e servizi utili alla collettività, le imprese spciali possano svolgere quel ruolo “politico” di facilitazione nei processi di interazione tra istituzioni e comunità locali al quale si è fatto cenno, che rappresenterebbe un contributo non secondario all’efficacia dell’intervento pubblico su temi controversi ma ineludibili come quelli ambientali. L’intervento pubblico in campo ambientale si confronta infatti con problemi che non consentono il ricorso a modelli tradizionali di azione politico-amministrativa. La questione ecologica costringe le istituzioni a sviluppare le proprie capacità di governo non gerarchico dei processi sociali e le politiche ambientali costituiscono un cruciale banco di prova per l’avvio di pratiche di governance, basate sul coordinamento orizzontale e verticale tra più attori sociali e istituzionali e sulla loro capacità di condividere obiettivi, negoziare accordi, cooperare per raggiungerli (Bulsei 2005, cap. 5).

Riferimenti bibliografici
AA.VV. (2006), Dopo il decreto delegato sull’impresa sociale: criticità, prospettive, politiche, in
“Impresa Sociale”, 3
AA.VV. (2007), Impresa sociale e ambiente, n. monografico di “Impresa Sociale” (in preparazione,
a cura di G. Osti)
Andreaus M. (2005), Cooperativa sociale come impresa sociale? Le condizioni di imprenditorialità
nel terzo settore, in Centro Studi CGM (2005 a cura di)
Bobbio L. (2004 a cura di), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini
nei processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
Borzaga C. (2005), Un quadro teorico sull’impresa sociale, in Centro Studi CGM (2005 a cura di)
Borzaga C., Fazzi L. (2004a), Il ruolo del terzo settore, in Gori C. (2004 a cura di), La riforma dei
servizi sociali in Italia, Carocci, Roma.
Bulsei G.L. (2005), Ambiente e politiche pubbliche. Dai concetti ai percorsi di ricerca, Carocci,
Roma
Bulsei G.L. (2006 a cura di), Cooperazione, servizi, territorio: un’indagine empirica, Stampatori,
Torino
Bulsei G.L. (2007), Le istituzioni e le reti: il campo politico-organizzativo delle imprese sociali verdi,
in AA. VV. (2007)
Centro Studi CGM (2005 a cura di), Beni comuni. Quarto rapporto sulla cooperazione sociale,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino
Donolo C. (2005), Dalle politiche pubbliche alle pratiche sociali nella produzione di beni pubblici?
Osservazioni su una nuova generazione di policies, in “Stato e mercato”, 73
Ranci C. (2001 a cura di), Il mercato sociale dei servizi alla persona, Carrocci, Roma.

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