Appunti sull’innovazione. In attesa del Workshop
Flaviano Zandonai
E’ diventato ormai di moda, soprattutto in questa fase storica, utilizzare l’innovazione come un passepartout per accedere a soluzioni diverse che consentano di uscire da crisi congiunturali e strutturali. L’enfasi sul concetto è tale da aver indotto l’Unione Europea a dichiarare il 2009 “anno della creatività e dell’innovazione”. A fronte di scelta di campo forse fin troppo spinta tanto da essere presa come una specie di dogma è bene cercare di declinare il concetto guardando ai prodotti e servizi, ai processi e, non ultimo, ai modelli organizzativi. Il tutto nell’ottica di un contributo ad un più complessivo mutamento delle priorità dell’agenda economica, sociale ed ambientale che, con la solita tempestività, le business school anglosassoni hanno già etichettato come “social innovation“. L’edizione 2009 del Workshop nazionale sull’impresa sociale di Iris Network si cimenterà in questa operazione, secondo il più canonico approccio bottom-up. Il 10 e 11 settembre, a Riva del Garda, si incontreranno una quarantina di esperienze eccellenti, o buone prassi per utilizzare un altro concetto in voga, promosse da imprese che di per sé rappresentano un’innovazione: private ma con finalità di “interesse collettivo”, non lucrative ma con assetto imprenditoriale, orientate alla produzione di beni e servizi a favore di utenti ben definiti ma che generano consistenti benefici (esternalità) a favore di una molteplicità di soggetti, alcuni dei quali sono coinvolti nella gestione. L’impresa sociale quindi come un’innovazione del panorama istituzionale che peraltro non riguarda le forme classiche dello stato e del mercato ma piuttosto quella “membrana” così fragile ma essenziale della società civile. L’importante però è non fermarsi a contemplare l’esito di un così originale processo di institution buiding. Chiudersi nelle definizioni teoriche e normative, come in parte è successo negli ultimi anni, può favorire l’affermazione di una “retorica” che rischia di scontare un duro impatto con la realtà. Le imprese sociali riconosciute solo formalmente come tali presentano in realtà accenti molto diversi. Il riferimento non va solo ai pochi casi estremi di utilizzo opportunistico di questa formula imprenditoriale, ma a più consistenti fenomeni di erosione dei principali elementi di valore aggiunto. Basti pensare alla diminuzione del volontariato, alla ancora scarsa capacità di attrarre un mix di risorse provenienti non solo dagli apparti pubblici, alla difficoltà a coinvolgere gli stakeholders nel governo d’impresa. È necessario quindi promuove un approccio allo sviluppo che tenga insieme diversi livelli di innovazione. Certamente il riconoscimento normativo e nelle politiche – anche a livello locale – ma combinato a fattori riguardanti la qualità dell’organizzazione – si pensi ad esempio agli investimenti per la crescita del capitale umano, soprattutto a livello manageriale – e non ultimo, alla più classica innovazione di prodotto. Non a caso è proprio in questo ultimo ambito che si colloca la maggior parte delle esperienze presenti al Workshop nazionale. Un indicatore del fatto che oggi per molte imprese sociali innovare significa riscoprire il proprio “saper fare”, allargandosi a nuovi ambiti (turismo, cultura, ambiente, ecc.). Un percorso non semplice che richiederà tempo, investimenti e lungo il quale si incontreranno nuovi competitors, ma che forse riuscirà a sostanziare – nei fatti – quegli elementi di peculiarità che più di una normativa ha ormai sancito.