La cooperazione sociale tra moltiplicazione e innovazione
0 commenti 16 Ottobre 2007

Flaviano Zandonai

I nuovi dati sulla cooperazione sociale pubblicati dall’Istat e presentati alle recenti “Giornate di Bertinoro” arricchiscono la conoscenza di questo fenomeno, soprattutto perché consentono di coglierne la dinamica evolutiva. Giunta ormai alla terza edizione in quattro anni (la prima aggiornata al 2001, la seconda al 2003 e quest’ultima al 2005), la rilevazione Istat rappresenta un importante fonte per leggere in senso longitudinale un fenomeno dai contorni multiformi ma anche dalle tendenze altrettanto definite. In termini generali, la cooperazione sociale è ancora un settore in crescita guardando a tutti i suoi parametri: numero di imprese, addetti, utenti, servizi, giro d’affari, anche se i tassi registrati presentano significativi elementi di differenziazione a seconda del parametro considerato. A partire dall’analisi dei differenziali è possibile quindi delineare un modello generale di sviluppo di questa forma imprenditoriale, la cui persistenza nel medio periodo contribuisce a cristallizzarne i tratti di tipicità.
Il modello si basa su uno sviluppo per moltiplicazione del numero di imprese (le cooperative sociali sono oggi 7.363, con un aumento pari al 19,5% rispetto al 2003) e replicazione di alcune caratteristiche strutturali. Si tratta infatti di imprese di piccole (e piccolissime) dimensioni (in media 40 soci e 34 addetti retribuiti), prevalentemente orientate alla produzione di servizi socio assistenziali ed educativi (le cooperative di tipo A sono pari al 59% del totale) nell’ambito di mercati pubblici (il 65,9% ha entrate prevalenti da enti pubblici). Sono inoltre governate da una pluralità di portatori di interesse (il 48% ha 3 o più tipologie di soci nella propria compagine) e hanno una propensione all’aggregazione in rete utilizzando la forma consortile (il 27% dei consorzi è nato dopo il 2001).
La stabilizzazione dei dati strutturali si confronta però con altre tendenze ben più marcate che riguardano la dimensione economica (il giro d’affari è pari a 6,3 miliardi di euro con un aumento del 32% rispetto al 2003), ma soprattutto il numero degli utenti (sono 3,3 milioni, in crescita del 37,4% rispetto al 2003).
Il quadro che emerge è quindi di una popolazione di imprese che in questi anni sembra essere riuscita a stabilizzare il proprio modello organizzativo e gestionale, lavorando sul versante dell’efficienza dei principali capitali disponibili: quello economico e soprattutto quello umano. Ciò ha consentito di sviluppare ulteriormente la dimensione economico-produttiva e di allargare la platea dei beneficiari, non solo in termini quantitativi ma anche per tipologia. Cresce infatti il numero di utenti “senza specifici disagi sociali” (come recita la classificazione Istat) e la quota di servizi ad essi rivolti che non ricadono nel tradizionale ambito socio assistenziale ma in quello culturale, ricreativo, educativo, ecc.
Rimangono sullo sfondo alcuni interrogativi rispetto alla tenuta complessiva del modello “moltiplicativo / replicativo” fin qui dominante. Da un lato la progressiva diffusione e consolidamento del modello segnala che la cooperazione sociale ha ormai superato la sua fase nascente e ha intrapreso una traiettoria di sviluppo ben definita. D’altro canto non è ancora del tutto chiaro fino a che punto questo stesso modello sia in grado di affrontare i più recenti mutamenti a livello socio economico e normativo: dalla riforma del welfare alla nuova legge sull’impresa sociale, fino alle nuove forme di mutualizzazione dei bisogni sociali. Ed è forse per questa ragione che, accanto a politiche volte ad “ingegnerizzare” gli elementi portanti di questo modello, è altrettanto importante dar vita a iniziative volte a riconoscere e valorizzare elementi di innovazione sperimentati sul campo dalle cooperative sociali.

commenti